Una volta in seminario, lo studente Calabria fu rimproverato dai professori perché disperdeva il tempo in opere di carità e di apostolato a scapito dello studio. In realtà però non era così: gli altri occupavano il tempo libero a ricrearsi, lui trovava gusto a catechizzare i fanciulli e a consolare gli infermi. In questo comprensibile sfogo ridonava equilibrio a se stesso e l’entusiasmo necessario per proseguire in una vita di studio che non gli dava nessuna soddisfazione.
Non era un teorico, lui, e l’apparato scolastico senza questa evasione lo avrebbe inibito. Si sentiva fatto per la vita, vibrava soprattutto per le opere di carità. Sua passione erano le persone vive, specialmente le più sprovvedute.
A orientare definitivamente Giovanni Calabria sul binario della carità intervenne un fatto provvidenziale.
Era una tarda sera di novembre, nel 1897, e il chierico Calabria tornava dalla visita a un giovanetto ammalato. Giunto al cancelletto d’ingresso di quella casa, gli parve d’intravedere per terra un mucchio di stracci: si chinò su di esso e sentì il respiro regolare di un bimbo che dormiva.
Lo scosse dolcemente, e riconobbe in lui quel piccolo mendicante di sei anni che in corso Castelvecchio chiedeva l’elemosina ai passanti mostrando il topino ammaestrato che sapeva estrarre il «pianeta della fortuna» coi numeri del lotto. Quante volte si era fermato a dirgli una buona parola e a dargli l’elemosina! Se lo era fatto amico, e il fanciullo aveva fiducia in lui.
«Che fai qui, a quest’ora?» gli chiede. «Mi hanno battuto, mi battono sempre…! Mi dicono che sono buono a nulla… Vogliono che porti a casa tanti soldi ogni sera, se no sono botte. Anche oggi le ho prese. E sono scappato…». Il singhiozzo interrotto e soffocato si trasformò in uno scroscio di pianto. «Vieni con me» gli disse Giovanni. E gli prese la mano, mentre con l’altra il bimbo teneva stretta la gabbia col topolino e la scatola dei pianeti. Mamma Angiolina non mosse lamento. La magra cena apparecchiata fu divisa in due. Poi, aggiustato il materasso su tre sedie, Giovanni vi collocò il bambino. Lui si accontentò del pagliericcio.
Il mattino dopo Giovanni si consigliò con Padre Natale, il suo confessore, che gli suggerì di chiedere un «segno». E il segno venne: un vestito per il bambino, dono di un ebreo. Poi un aiuto in denari… Il bimbo poi trovò una sistemazione presso gli Artigianelli di Brescia. E Giovanni Calabria, un volta fatto sacerdote, fu condotto a interessarsi della gioventù derelitta.