«Le opere degli uomini sono come una piramide che poggia in terra e termina a punta; le opere di Dio invece appoggiano in terra appena la punta. Noi abbiamo le radici in su ». Così dice Don Giovanni.
La sua opera, che si sarebbe tanto estesa, ebbe inizi umili e sofferti. I primi sei anni di sacerdozio Don Giovanni li spese in varie opere di bene che lo arricchirono di preziose esperienze pastorali.
Soprattutto il suo confessionale era molto frequentato: la gente, che fiuta il santo, lo assediava per averne assoluzione, conforto, consigli.
Quando c’era un malato difficile, un moribondo, chiamavano lui. E il Cardinale pensò di farlo confessore dei seminaristi.
Nei continui contatti pastorali gli saltò presto all’occhio la condizione di molti ragazzi e giovani trascurati dalle famiglie e abbandonati a se stessi, talvolta nella fame e nel vizio.
Ebbe particolare cura degli spazzacamini che scendevano dai monti nei mesi invernali.
Ai fanciulli e ragazzi abbandonati si prodigava per cercare un alloggio, una sistemazione presso qualche istituto, ma non sempre vi riusciva. Allora li portava a casa sua per settimane e anche per mesi, affidandoli alla mamma o a qualche persona buona del vicinato. Cominciò con un frugoletto vivacissimo, nel 1906.
Le noie che questi monelli procurarono alla mamma Angiolina furono tali che essa si ammalò in modo grave. Giovanni temette di perderla. Si confidò allora con il suo amico e benefattore, il conte Francesco Perez, al quale la sistemazione dei fanciulli abbandonati stava a cuore come a Don Calabria. Occuparsi ancora di loro? Ma come avrebbe potuto con la mamma in tali condizioni? Alla fine Don Calabria decise:
«Se il Signore vuole che m’interessi dei fanciulli poveri, ridoni alla mamma la salute almeno per un anno».
Contro ogni previsione, improvvisamente la mamma guarì. E i fanciulli abbandonati continuarono ad avere ricovero presso di lui: uno, due tre…, sei.