La Parola di Dio ci invita a riflettere nuovamente sulla preghiera. Dopo averci invitato a pregare senza stancarci, interroga ciascuno di noi sul modo in cui preghiamo.
La parabola del fariseo e del pubblicano (cfr. Lc 18,9-14) ci presenta due persone, che rappresentano due modi di pregare.
Il fariseo è una persona buona, onesta, un bravo credente, che rispetta tutti i comandamenti, eppure la sua preghiera fa acqua da tutte le parti.
Egli ritiene di essere giusto e nella preghiera esalta sé stesso, quasi a pretendere che il Signore ascolti ed esaudisca le sue preghiere proprio in forza di questa sua presunta bontà.
La sua preghiera finisce, poi, per essere definitivamente rovinata quando egli, ritenendosi migliore, esprime un giudizio negativo nei confronti degli altri.
Se la nostra preghiera si basa sul sentirci migliori degli altri, non è una preghiera fatta bene, sono solo parole vuote e piene di superbia. Se quando preghiamo, giudichiamo gli altri, non stiamo affatto pregando bene.
L’altro personaggio della parabola, il pubblicano, diventa allora l’esempio da seguire.
Egli è un peccatore conclamato, non una persona onesta né tanto meno un bravo credente, eppure la sua preghiera è quella giusta perché pregando, non parla degli altri, ma di sé, della sua fragilità, del suo peccato.
Ha l’umiltà di riconoscere la sua condizione di peccatore, ma anche l’amore misericordioso di Dio, sempre pronto al perdono.
Se vogliamo pregare per davvero, non giudichiamo gli altri, giudichiamo solo noi stessi. Del resto che vita è se passiamo il tempo a giudicare gli altri? Finiremo soltanto per farci del male.
Preghiamo senza giudicare, riconoscendo umilmente le nostre fragilità, ma anche l’infinita misericordia del Signore, per lasciarci perdonare da Lui. Solo così la nostra preghiera potrà raggiungere fiduciosa il cuore di Dio.