Gesù, dopo aver ricevuto il Battesimo nel Giordano (cfr. Mc 1,12-15), si trovò di fronte ad un interrogativo. Aveva appena sentito la voce del Padre che lo aveva chiamato Figlio Amato ed aveva compreso che il Padre gli voleva affidare una missione importante. Ma, essendo vero uomo, Egli non sapeva quale fosse questa missione e come realizzarla, lo andava scoprendo giorno per giorno. Si domandava perciò: “che cosa devo fare? qual è la mia strada?”
Davanti a sé aveva una possibile scelta: quella di andare a Gerusalemme. Era un giovane di trent’anni, intelligente e stimato da tutti. A Gerusalemme c’era gente importante, persone di potere, religiosi e politici, persone che contavano, dalle quali farsi conoscere ed apprezzare e con le quali stringere amicizie. In tal modo avrebbe potuto fare la sua scalata sociale per conquistare i posti di potere e così aiutare i poveri e fare giustizia.
In fondo, è quello che si augurano tanti genitori per i loro figli: sperano che possano fare carriera, possano diventare delle persone famose, di successo e così li spingono verso questi traguardi.
Lo Spirito Santo, invece, sospinse Gesù verso il deserto, chiedendogli di guardare verso un’altra direzione: la strada del deserto, della fragilità poteva essere la strada dove comprendere quale era la sua missione, quella che il Padre gli aveva affidato.
Nella preghiera, sorretto dallo Spirito Santo, Gesù comprese che percorrere la strada verso Gerusalemme, la strada del potere e del successo, era come costruire dei bei castelli di carte, che basta un niente a spazzarli via. Si lasciò allora guidare nel deserto, verso quella strada apparentemente insensata, che sembrava non portare a niente.
Nel deserto, Egli fece esperienza della fatica, della prova, ma lì comprese che la sua strada passava proprio attraverso questa immersione nella povertà, questo affrontare la fatica quotidiana, senza confidare nella forza del successo e del potere, ma con la sola forza della Parola di Dio, della fede in Dio, dell’abbandono al Padre.
Nel Vangelo leggiamo che Gesù, per quaranta giorni, restò nel deserto, continuamente tentato di abbandonare quel luogo, per percorrere l’altra strada. Quaranta giorni sta a significare un tempo prolungato. Non è la tentazione di un momento.
Significa che Gesù, per tutto il resto della sua vita terrena, fu tentato di abbandonare la strada della vicinanza ai poveri, del farsi ultimo con gli ultimi. Ma nonostante le difficoltà, le critiche, le mormorazioni e la prova cruciale della croce, Egli vinse la tentazione e rimase fedele, fino alla fine, alla sua scelta.
Anche noi, oggi, veniamo posti di fronte ad un bivio. Da un lato, il mondo ci indica la strada del successo e del potere, dall’altro, la voce dello Spirito ci dice che, se vogliamo davvero realizzare la nostra vita, dobbiamo aprire il cuore agli ultimi, a coloro che non contano.
Convertirsi significa incominciare a pensare che la vita è bella, non perché si hanno onori e successo in questo mondo, ma perché ci si mette a servizio degli altri, affrontando la fatica di aprire strade nuove e con la consapevolezza che, nonostante le prove e le tentazioni, possiamo restare fedeli alla nostra scelta, perché non ci verrà a mancare la forza che viene da Dio e dall’ascolto della sua Parola.