La parabola dei due figli (cfr Mt 21,28-32) è un invito a guardarci dentro per chiederci qual è il nostro rapporto con Dio Padre, ma anche qual è il nostro rapporto con gli altri e fondamentalmente con noi stessi.
C’è un padre, che chiede ai suoi due figli di andare a lavorare nella vigna: il primo risponde di no, ma poi ci ripensa e fa quanto gli ha chiesto il padre; il secondo dice subito di sì, ma poi non compie la volontà del padre.
Quel padre rappresenta Dio che, ogni giorno, ci chiama a fare la Sua volontà. Il Signore ci parla, concretamente, attraverso i fatti che accadono nelle nostre giornate. Questi avvenimenti li possiamo considerare piacevoli o spiacevoli a seconda del nostro modo di pensare egoistico; oppure possiamo considerarli come occasioni nelle quali Dio ci chiama a realizzare pienamente la nostra vita.
Spesso e volentieri, siamo portati a pensare che compiere la volontà di Dio sia un “dovere”, qualcosa di spiacevole, che dobbiamo osservare come un ordine. Allora, in nome della nostra libertà, come il primo figlio, diciamo di NO; oppure, come il secondo figlio, diciamo di SI soltanto perché spinti dalla paura, dal sentirci servi di un Dio tiranno, ma tanto poi facciamo di testa nostra.
Gesù, invece, desidera aiutarci a scoprire il Padre, non come colui che comanda e che ci vuole suoi servi, ma piuttosto come la fonte della nostra gioia, della nostra felicità, della completezza della nostra vita.
Come il primo figlio, proviamo a fermarci a riflettere su quanto ci chiede Dio Padre. Se ci pensiamo bene, ci rendiamo conto che i nostri “NO” al Signore e alla sua volontà, non ci procurano gioia, ma lasciano in noi un senso di insoddisfazione, di vuoto. Allora, comprendiamo che quanto Egli ci chiede non è impossibile, ma è piuttosto la strada da percorrere, anche se con fatica, per raggiungere la pienezza della gioia.