Tra le piante della nostra piccola oasi parrocchiale, c’è un giovane ulivo. È ancora un alberello, ma ha in sé tutte le potenzialità per diventare una pianta grande e forte, con il suo legno buono e prezioso, con i suoi frutti, dai quali trarre l’olio che rallegra e arricchisce le tavole.
Oggi, questo giovane ulivo ha davanti a sé un futuro meraviglioso. Se lo osserviamo bene, però, ci accorgiamo che ha anche qualche difetto. Infatti, sta crescendo un po’ storto. C’è un ramo, in particolare, che è più lungo degli altri.
Le cose preziose di questa pianta restano, comunque, molto più numerose rispetto a questo difetto. Del resto, basta poco per poter sistemare quel che non va: un paio di forbici, una mano esperta e questa pianta da storta può diventare dritta, per crescere bene e diventare piacevole agli occhi e anche al cuore.
Questa pianta rappresenta ognuno di noi e tutti noi insieme. Siamo molto più preziosi di questo ulivo e abbiamo davanti a noi un futuro meraviglioso: portare frutti di gioia, per noi e per gli altri.
Come questa pianta, anche ognuno di noi, la nostra comunità, il nostro Borgo di Sant’Antonio abate, possiamo avere qualcosa che non va. Purtroppo, nei giorni scorsi non si è parlato d’altro. Si è parlato di quel ramoscello storto, ma ci si è dimenticati di tutte le cose belle, che ci sono in ciascuno di noi e nel nostro quartiere.
Certo, non è possibile negare che c’è qualcosa di storto, perché c’è e non va bene. Occorre saper guardare, vedere, rendersi conto e non chiudere gli occhi o girarsi dall’altra parte. È necessario saper distinguere la luce dalle tenebre, le cose buone, che si possono fare, da quelle che non si possono fare.
Dopo aver guardato, però, occorre domandarci che cosa possiamo fare di fronte a tutto ciò. Se c’è qualcosa di storto, è necessario rimboccarci le maniche e cercare di cambiare, per rendere più bello e accogliente questo nostro quartiere.
Inutile puntare il dito contro, impegniamoci, invece, ad accogliere, ad incoraggiare, a diffondere il bene. Soprattutto, restiamo accanto ai ragazzi che, il più delle volte, feriti dalla vita, feriscono con la violenza, ma in fondo hanno solo bisogno di sentirsi amati.
Giovanni Battista, presentando Gesù ai suoi discepoli lo indica come l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo. Gesù si presenta a noi come un agnellino indifeso, che non mette paura a nessuno e prende su di sé i nostri peccati, per perdonarci.
Come cristiani siamo chiamati, anche noi a diventare agnelli di Dio per gli altri, presentandoci a loro con semplicità, con mitezza, ispirando fiducia; prendendo su di noi le sofferenze e i dolori di chi ci è accanto.
Il Signore ci chiama ad essere cristiani responsabili, pronti a dare il buon esempio, a comportarci bene, a non giudicare gli altri.
Pronti ad aiutare, soprattutto i più giovani, a liberarsi dalle loro angosce, a sanare le loro ferite, perché siano capaci di scegliere non la via della violenza, ma quella del bene, l’unica che può renderli persone felici.
Molto spesso, quando diciamo che la colpa o la responsibilità è di altri, è il modo più semplice per mascherare il nostro disimpegno dal contribuire al cambiamento della cose.